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Sunday, May 22, 2022

STRAGI DI MAFIA

 Trent'anni fa fu ucciso, massacrato, con una bomba, il giudice Falcone, con la moglie e la scorta.

Era il 1992.

Un anno dopo, a maggio, dovetti andare, per lavoro, a Palermo.

Presi l'aereo da sola, partendo da Bologna e all'arrivo mi spaventai un po' vedendo che Punta Raisi si avvicinava sempre più mentre l'aereo stava iniziando ad abbassarsi. Mi chiesi dove saremmo arrivati ad atterrare, visto che vedevo solo mare.

Per fortuna atterrammo, su una pista molto breve.

Avrei dovuto, per lavoro, mettere mano ad una contabilità inesistente, cercando di fare il mio lavoro che, comunque, non interessava a nessuno, tanto meno ai delinquenti titolari di quella ditta.

Ma ancora cercavo di essere professionale, nonostante fossero già mesi che non mi pagavano lo stipendio.

Andai a pernottare all'Hotel Politeama, di fronte al teatro palermitano.

A mie spese.

Un cameriere, la prima sera, mi fece notare che lì pernottavano anche la Ricciarelli, irriconoscibile, sciatta, scortese e di cui non mi importava assolutamente nulla e la Rajna Kabaivanska, elegante, gentile che notai disponibile a rilasciare autografi. 

Consumai la cena in silenzio, da sola. I dipendenti di quella ditta o del finto commercialista palermitani non mi avevano in nota, persona sconosciuta venuta da Parma per metter mano ad una "contabilità" inesistente che doveva nascondere cose che non mi era dato conoscere.

Comunque, arrivata a Palermo per starci due o tre giorni finì che dovetti rimanere una settimana, a mie spese, ovviamente.

Ma il punto è un altro.

La mattina, dopo la colazione, volevo fare un giro per la città, o per lo meno nei dintorni.

In fondo ero in pieno centro

Ma un anno prima c'erano stati gli assassini di Falcone, a maggio  e, nel luglio '92, di Borsellino.

La città aveva ad ogni angolo, drappelli di soldati armati; sirene continuamente ad attraversare le strade, auto che sfrecciavano e portavano, sotto scorta, avvocati, giudici ed altri personaggi.

Alla mia richiesta di qualche indicazione al portiere dell'hotel mi sentii rispondere che assolutamente da sola non era consigliabile che uscissi. 

Rimasi perplessa e gli dissi che non mi sarei allontanata molto.

Ma lui mi replicò deciso che non era consigliabile che uscissi da sola.

Fui prigioniera, in quei giorni, in hotel, sempre e solo in attesa di chi venisse a prendermi per andare negli uffici di quel commercialista. 

Uscii solo una sera, insieme ad uno dei fornitori di miele con cui avevo rapporti telefonici costanti per dirgli come stava evolvendo la situazione in ditta.

Ma ancora, dopo 29 anni, ricordo quella brutta sensazione, di una situazione pericolosa, di una tristezza infinita in cui era avvolta Palermo, una città che, probabilmente, sarà bella ma che non ho mai avuto il piacere di vedere.



Saturday, May 07, 2022

IL VISCHIO

 Il vischio, quella bella pianta, con le bacche bianche, che a Natale, ma soprattutto a Capodanno, si appende sul soffitto di una stanza o di un ingresso e che invita chi ci passa sotto a scambiarsi un bacio.

 Il vischio, che all'apparenza può sembrare una pianta gentile, è in realtà un parassita.

Un parassita che succhia la linfa alla pianta su cui si arrampica, avvinghiandola in un abbraccio mortale.

Un po' come l'edera, ma alla morte della pianta, l'edera lascia comunque le sue foglie ancora avvinghiate e pare, quasi, che la pianta a cui è stata succhiata la linfa, ancora esista.

Una canzone degli anni '50 (se non ricordo male) diceva proprio: " ... avvinta come l'edera ...."; avvinghiata come l'edera ... ma la canzone doveva essere come una poesia e quindi è stata scelta la parola "avvinta".

Ma il vischio no, quando ha succhiato tutta la linfa della pianta, la pianta si vede spoglia, con solo un groviglio, quasi come fosse un nido, di vischio in cima.

Una tristezza immensa.

Ebbene, ci sono persone che si comportano come il vischio.

Succhiano l'anima, come fosse la linfa, delle persone; peggio, o meglio per l'umano/a vischio, se quelle persone sono loro conviventi, compagni, mariti, mogli.

Si potrebbero anche chiamare vampiri, psichici e materiali.

Ma il vischio rende bene l'idea.

E quel che è peggio si avvalgono della facoltà di non risponderne, di essere, in coscienza, con la loro coscienza a posto.

Sembrano brave persone, dall'esterno. Ma all'interno del loro nucleo famigliare sono orribili, come sono orribili dentro di loro. Eppure all'apparenza sembrano gentili, affabili.

Ma si riconoscono, sapendoli riconoscere.

Il vischio umano si lamenta costantemente. Il mal di schiena, il male alle spalle, "povero/a me", dicono costantemente, "e io? nessuno pensa a me ...".

Ed intanto succhiano, succhiano fino a portare alla morte, psicologica e a volte, purtroppo, fisica della loro vittima.

Si può cercare di far loro pensare che anche qualcun altro può stare peggio di loro. Anzi, a volte è proprio quello che succede, hanno accanto chi sta peggio di loro, proprio a causa della linfa che viene a loro succhiata. Ma loro non vedono la sofferenza altrui, vedono e sentono solo la propria. E pure il dialogo diventa spesso un monologo poiché non ascoltano altre voci se non la propria.

Ed in questo contesto mi viene da pensare ad una poesia tratta dall'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, andate a leggerla, è la seconda, subito dopo la poesia di presentazione della collina.

E' una moglie che spiega la sua vita accanto ad un marito/vischio, la cui unica vendetta, dopo la morte, è assillarlo con il suo fantasma. 

Leggetela e dedicatela a tutte le donne (ma anche agli uomini accade di essere uccisi da un vischio umano, io ne conosco per certo uno ....) che hanno avuto la sfortuna di incontrarne uno ....