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Saturday, October 25, 2025

TRA IL CANTO E LA SOLITUDINE

 Ormai l'ho detto già tante volte: canto sin da quando avevo tre anni.

Il mio primo battesimo del palcoscenico lo ebbi a quell'età o forse a 4 anni, durante uno spettacolino di carnevale presentato da mio fratello Ettore in parrocchia. Lui mi accompagnava alla chitarra e credo anche con la fisarmonica, nella canzone del cowboy:

Quella notte laggiù nella valle, 

con le stelle che stanno a guardar, 

un cowboy col suo bianco cavallo

verso il fiume lui scende ad aspettar.

Forse l'ultimo incontro d'amore

forse l'ultimo bacio sarà,

il cowboy con quel bacio nel cuore

verso l'west, verso l'west lui tornerà.

A quello stesso spettacolo, l'ho già scritto altre volte partecipò un giovane del quartiere, figlio di carabiniere come noi, con il sogno di diventare un grande attore. Il suo nome era Franco Sparanero, diventato poi, in arte, Franco Nero.

Io cantavo sempre, alla finestra delle camere, in casa, sempre. Come ho scritto spesso, il canto è sempre stato la mia valvola di sfogo.

Settima di otto figli, non avevo speranza di essere ascoltata se non quando cantavo, allora li obbligavo, quasi, ad ascoltarmi. A 8 anni entrai nel coro voci bianche del Teatro Regio. Le mie amicizie erano tutte rivolte al canto; con la mia amica Giovanna Biggi (giocatrice di pallacanestro, diventata poi suor Giovanna) cantavamo la messa tutte le domeniche e ci si trovava a fare le prove durante la settimana. La mia amica del cuore delle elementari, Stefania Carrani, anche lei nel coro delle voci bianche (la Corale Verdi) divideva con me il compito di intonare le canzoni in classe. Durante l'adolescenza, alle medie, ancora l'insegnante di francese mi faceva intonare le canzoni per tutta la classe, mettendomi sola a cantare contro le altre in canzoni come Vent fin oppure Frere Jacques (insegnante che poi mi accoltellò alle spalle abbassandomi il voto per farmi bocciare e accontentare l'insegnante d'italiano in seconda media). A 12 anni, unico unicorno, fui presa al Coro città di Parma, coro di adulti.

E a quell'età già non si contavano spettacoli, spettacolini in duo con mio fratello.

Ma di amicizie non ne avevo. Le bambine non mi filavano proprio.

A dieci anni, per andare in colonia, quella dei carabinieri, in fila in attesa del treno in stazione le bambine mi cacciarono dicendo che ero un maschio.

Vestivo da maschio, abituata a giocare giochi da maschio con il fratello più vicino a me d'età: cappello da baseball, pantaloncini all'inglese al ginocchio, calzettoni, scarpette da ginnastica, capelli cortissimi.

Io inizia a piangere di nostalgia già sul treno, lontana da mio fratello che condivideva quel periodo di colonia con me ma che era tra i maschi; tutte le notti piangevo e per me le stazioni ancora oggi rappresentano un luogo triste. Quella colonia, dove avremmo dovuto prendere un po' di sole, eravamo con suore che ci tenevano sotto le tettoie e di sole non ne potevamo certo prendere. Ma non strinsi amicizie, a volte le suore mi lasciavano andare da mio fratello e giocavamo io e lui ed il mondo era fuori. Solo in quei momenti ero felice.

In età da superiori, la mia personalità forse si era un po' fortificata, a scuola andavo bene, avevo le mie idee e non mi importava tanto di avere amicizie femminili. Quelle maschili le prendevo sul serio solo per l'amicizia, il resto per me non contava ed anzi quando un ragazzo mi esprimeva qualcosa di diverso mi sentivo presa in giro: vestivo abiti prestati e sempre di seconda o terza mano; non mi truccavo, non ho mai saputo nemmeno come farlo e magra come un chiodo non mi sentivo né attraente né minimamente carina. Ma non mi importava: io avevo la mia voce. A dodici anni, con i pochi accordi che mio fratello mi insegnò, imparai ad accompagnarmi ed il mio repertorio si arricchì di canzoni di Donovan, Bob Dylan, Joan Baez, contro la violenza, antimilitariste, contro la guerra.

Entrai a far parte, mio malgrado e nonostante mio fratello, in Viva la Gente, dietro l'invito del loro tastierista. Mi sembrò da subito una bella esperienza da fare, cantare gli ideali di pace in un coro, non solo canzoni di repertorio classico o cori per le opere ma canzoni che parlavano della nostra epoca, tra guerra fredda e guerre ingiuste come in Vietnam.

Ma anche lì non ebbi amiche femmine. Anzi.

Ricordo un capodanno; premesso che per me il capodanno ha sempre rappresentato una festa triste, in cui mi venivano le lacrime agli occhi sin da quando, a 8 anni, nacque il mio fratellino. Mio padre aveva 52 anni, la mamma 40 ed io mi ritrovavo spesso, durante la notte a contare i miei anni, gli anni dei miei fratelli, gli anni di babbo e mamma e temevo il futuro, temevo ogni anno nuovo.

Ma quel capodanno, svoltosi a casa di una delle ragazze del gruppo, fu uno dei più tristi che io ricordi.

In quel maledetto gioco: indovina chi ha detto cosa, fui messa in mezzo e tutti dissero il vero pensiero verso o contro di me. Successivamente venni a sapere che le cose negative le avevano dette le ragazze che in quell'occasione mi usarono da grattatoio.

Ingoiai il rospo e riuscii a trattenere le lacrime fino all'ultimo commento, ma non aspettai la mezzanotte per tornare a casa. Ancora oggi a distanza di più di 50 anni, quel capodanno mi ruota in testa.

Ovviamente non ricordo tutte le cose che mi furono dette ma mi fecero ben capire quanto io non fossi stata gradita, come se non fosse bastata la riunione in cui fui presentata ed in cui le ragazze insorsero alla notizia che una nuova avrebbe cantato da solista ben quattro canzoni, insurrezione totale che lasciò a bocca spalancata le insorte quando fu detto loro che io ero lì, presente. 

Ma la "competizione" che io non ho mai sentito verso nessuno e mi si è sempre rivolta contro, non fu solo in quella occasione. Alcuni anni dopo, in un gruppo di volontariato, ero entrata da poco e fui invitata ad un capodanno, maledetto capodanno. Evidentemente, questa festa risveglia rabbia per l'anno trascorso in cui forse non si sono avverati i sogni e speranza per i sogni futuri che non dovrebbero incontrare alcun ostacolo. Giovani di una estrazione differente dalla mia, chi figlio/a unico/a o meno, comunque negli anni '70 c'era un bel divario tra chi era figlio di bancario e chi, come me, figlio di un dipendente statale. Si parlava del più e del meno, io sono solita ascoltare, non conoscevo praticamente nessuno a quella festa, qualcuno non faceva nemmeno parte del gruppo di volontariato.

Avevo passato un anno e mezzo senza uscire, avevo perso ogni contatto con l'unico amico che avevo nel gruppo musicale; uscivo da un rapporto faticoso e violento ed avevo perso l'abitudine di stare in compagnia. Inoltre non sono mai stata una facile al divertimento, non ho battute pronte, non ho spirito ed anche quando avrei la frase da ribattere mi freno se questa può ferire qualcuno.

Ma quando osai dire che la mia solitudine la vincevo prendendo la chitarra per cantare, una ragazza disse: e chi non sa cantare o suonare? Con un tono offensivo, ottuso, cattivo.

Mi fermai immediatamente e lì mi vennero le lacrime agli occhi, quelle lacrime che avevo frenato nel capodanno da grattatoio. Capii ancora una volta che non avrei avuto, nelle ragazze, nessuna amica.

Furono i ragazzi che corsero a chiamarmi quando, chiusa in bagno, non volevo uscire. Le lacrime mi scendono ancora oggi.

Ho passato la vita da sola; da piccola evidentemente risvegliai gelosie, in fondo mia madre a distanza di diciotto, venti mesi ne aveva avuti tre uno dietro l'altro ed uno dei miei fratelli ha sempre dimostrato di non gradire la mia presenza nonostante andassimo a cantare sempre insieme. Per lui la musica è tutto e va al di sopra di ogni cosa, anche dell'affetto. E quelle stesse gelosie o invidie, senza volerlo, senza sollecitarle, senza avere un minimo di competizione né femminile né altro le ho sempre ritrovate, in ogni epoca della mia vita. Anche in persone insospettabili, che avrebbero dovuto avere un animo più aperto, più generoso ma che scoprii avere delle maschere insormontabili. 

Io non porto maschere, forse questo fa pensare alle persone: ci è o ci fa?

Nella mia vita, per fortuna, ho incontrato maschi, uomini, diversi che mi hanno sempre apprezzata.

Non ultimo (per importanza) mio marito. 

E la mia amica del cuore ovviamente è mia figlia, anche se negli ultimi anni ho riscoperto una sorella: da bambina non mi voleva tra i piedi, da adolescente purtroppo lei aveva la sua vita faticosa da portare avanti, ma negli anni è diventata la mia migliore amica, con cui a volte piangiamo ma spesso ridiamo. 

E a 70 anni, anche se non riesco più a suonare la chitarra e la voce mi tradisce, posso dire di non essere più sola. 

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