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Wednesday, July 11, 2007

Salve, ragazzi!
Oggi ho una sorpresa per voi: in accordo con la rivista Labrys, di seguito troverete l'inizio de:

L'Archiatra - parte seconda - L'eredità di Nostradamus
Castore e Polluce

Capitolo I

In quella giornata di fine maggio il sole era già caldo e nei campi che circondavano la grande casa si sentiva il lieve profumo della lavanda che iniziava a sbocciare.
Il fattore seguiva i lavoranti che gli mostravano le fioriture degli alberi da frutto per avere le giuste indicazioni sui procedimenti da seguire ed evitare così il pericolo di attacchi dagli insetti e non compromettere la raccolta; quell'anno l'estate si prometteva con il giusto calore ed il giusto grado di umidità per avere dei frutti grossi e succosi e le conserve sarebbero state certamente abbondanti e gustose.
All'interno della casa c'era un gran fermento e Jean Pierre, un bambino paffuto e roseo di due anni, trotterellava per le stanze rincorrendo gli adulti che, in quel momento, pareva non avessero nè occhi nè orecchi per lui.
Persino Silvie, la bambinaia, pareva non lo vedesse affatto: affannata e tutta rossa in viso compariva e scompariva dalla stanza della mamma ora con un catino, ora con un lenzuolo e non stava a sentire le parole arruffate del povero bimbo che, ormai stanco ed affranto, si mise in mezzo al grande ingresso e, all'improvviso, scoppiò in un pianto fragoroso che scosse le pareti di tutta l'abitazione.
Contemporaneamente si aprirono tre porte ed apparvero: Silvie ed un'altra donna dalla stanza della madre, suo padre dallo studio e Rosalbe dalla cucina.
I quattro adulti si guardarono e mentre il piccolo continuava a piangere e singhiozzare, loro non poterono soffocare una grande risata.
"Piccolino, viene da tuo padre: cosa c'è, nonostante siamo in tanti, ti sei sentito solo?"
E così dicendo, l'uomo si avvicinò all bimbo e lo prese in braccio.
"Proseguite pure le vostre faccende - disse alle donne - a lui ci penso io."
Rosalbe rientrò in cucina e le altre dure rientrarono nella stanza della madre da dove provenivano dei lamenti.
"Cosa stanno facendo alla mamma?" chiese il piccolo asciugandosi gli occhi.
"Ti ho detto Jean Pierre che presto avrai un fratellino o una sorellina, vero?"
"Sì" rispose il bimbo imbronciato tirando su di naso.
"Eh, ma deve ancora arrivare. Sai, non è così semplice arrivare a casa nostra, la strada è lunga e faticosa ..." continuò il padre.
"Bisogna andarlo a prendere, allora, padre. Perchè stiamo qui e perchè mamma è in camera sua? Dobbiamo svegliarla e andare tutti insieme a prendere il fratellino."
"Jean Pierre, a dir il vero mamma sta già facendo del suo meglio."
"E come fa, padre, stando in camera sua?"
"Eh, questo te lo spiegherò un po' più avanti, quando sarai più grande."
"Ma io sono grande ..."
In quel momento uscì la donna che era con Silvie, con in braccio un fagotto.
"Messere, ho qui qualcuno per voi" e lo porse all'uomo.
"Cosa è?" chiese il piccolo.
Il padre scoprendo leggermente quello che aveva fra le braccia ne fece vedere il contenuto al bambino.
"E' tuo fratello" disse la donna.
Jean Pierre, battendo le manine si sporse maggiormente per vedere meglio.
"Fai piano, è molto piccolo e fragile" disse il padre. "Mia moglie come sta?" chiese alla donna.
"Devo rientrare in fretta, non abbiamo finito, pare che ci sia un altro bambino" rispose.
L'uomo si fece più pallido ancora di quanto già non fosse.
"Un altro?"
Non ricevette alcuna risposta, però, perchè la levatrice era già rientrata nella stanza della partoriente.
"Padre, fammi vedere, lo voglio vedere, il fratellino. Che pelle bianca che ha, vero padre?"
A quelle parole, l'uomo guardò il neonato e si avvide che il bambino aveva ragione: il piccolo che teneva fra le braccia aveva una carnagione quasi trasparente tanto era pallida e sottile; la peluria, quasi inesistente, era bianca ed anche i capelli, già abbondanti, non avevano alcuna colorazione.
Il neonato, molto tranquillo, stirandosi aprì gli occhi verso il padre che poco ci mancava che svenisse: gli occhi del piccolo, infatti, erano del colore del ghiaccio, di un azzurro limpidissimo, in cui ci si poteva specchiare come su di un laghetto di montagna.
Per un lungo istante rimase senza parole ed interdetto, mentre il piccolino gli prese un dito per metterlo in bocca e succhiare.
"Non mi somiglia, però - disse Jean Pierre - io sono nero di capelli e lui no. Ma mi piace lo stesso, padre e a te?"
L' uomo guardò il bambimo e guardò il piccolo e sorrise.
"Certo, Jean Pierre, mi piace. E' diverso ma ognuno di noi è diverso dagli altri, questo è il bello di nostra madre natura. Non possiamo mai sapere quali giochi abbia in mente ma Lei sa sempre cosa fa. Avvicinati, dai un bacio al nuovo arrivato."
Jean Pierre si avvicinò al fratellino che era sulle ginocchia del padre e gli diede un bacio sulla guancia.
In quel mentre, la porta della camera si aprì.
"Jean Pierre, hai anche una sorellina" disse Silvie portando un altro fagotto.
Il piccolo battè le mani e si avvicinò alla donna.
"Fammela vedere, fammela vedere"
"Piano, Jean Pierre, non fare rumore" gli disse il padre.
Silvie si abbassò un po', scostò il lenzuolo e fece vedere il viso della bimba.
"Anche la bambina è bianca di peluria e di pelle" disse il padre e Silvie fece cenno di sì.
"Ha gli occhi del colore del ghiaccio" aggiunse la donna e tornò nella camera.
L'uomo, che aveva appoggiato il maschietto nella culla e preso in braccio la bambina, era sorpreso.
Un parto gemellare era già un avvenimento alquanto improvviso ma quei due bambini, così diversi dal consueto, così fragili all'apparenza, lo lasciavano perplesso.
Ci fosse stato il Maestro accanto a lui, in questo momento, avrebbe trovato senz'altro qualcosa da dire di rassicurante, ma lui non trovava alcun argomento per sè e per il figlio che gli stava ancora di fianco a rimirare quella creatura inaspettata.
"Padre, sono strani ma gli vorremo bene, vero? Potrò giocarci con i miei fratellini?"
"Certamente, ma dovrai aspettare che almeno possano muoversi agevolmente sui loro piedini; anche stando in culla, forse, riusciranno a giocare con te. Adesso hai grandi responsabilità essendo il maggiore, il più grande."
"Sono il maggiore? Sono il più grande? Allora dovranno ubbidire ai miei ordini!"
"Sì, ma tu saprai dare degli ordini buoni, vero?"
"Certo, padre. Qui nessuno è padrone di nessuno, vero?"
"Ben detto, Jean Pierre. Qui siamo tutti allo stesso grado, solamente ci sono i più grandi che sanno già cosa devono fare e dire e ci sono i più piccoli che devono imparare. Ma nessuno è padrone di nessuno."
"Padre, i miei amici potranno giocare con i miei fratellini?"
"Anche per loro arriverà il momento di poter giocare con i tuoi fratellini. Ma credo che i due piccolini avranno bisogno di molte cure, Jean Pierre. Sarai in grado di essere loro vicino?"
"Certo, padre, sono il maggiore!" rispose il bambino dondolandosi.
"Eh, già"
Silvie uscì in quel momento dalla stanza della puerpera.
"Sto io con i bambini, adesso, Michel. Se volete andare da vostra moglie, adesso potete andare. Sta riposando, ma ha chiesto di voi."
L'uomo non se lo fece ripetere e, lasciata la neonata, entrò nella camera.
Nella stanza illuminata dalla grande finestra il letto a baldacchino, pur nella sua maestosa presenza, scompariva a causa delle grandi dimensioni di quella camera.

........ continua

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