Cara Licia Colò, il tuo programma su La7 è molto bello, come erano belli i programmi che facevi su Rai tre e pone non poche domande.
Parlando degli allevamenti intensivi oggetto del film Food for profit hai accennati che un tempo non esistevano.
Io sono una boomer, nata nel 1955, e ricordo perfettamente com'era il mondo, prima.
Erano passati solo dieci anni dalla fine della guerra, quando sono nata io; la mia generazione aveva genitori appena usciti dalla fame e dalla povertà, oltre che dalla distruzione.
Mia madre aveva dei genitori proprietari della casa dove abitavano e che adibivano a trattoria e pensione; avevano le galline ed un orto da cui traevano il cibo da cucinare. Non hanno mai avuto o tenuto un maiale, mio nonno era oste, non macellaio e quindi faceva il vino, non faceva salumi. Ma in molte case, principalmente della bassa parmense, si teneva un maiale da ingrassare per un anno per poi macellarlo, con l'aiuto di un norcino esperto, a novembre e fare, così, salumi da lasciar stagionare in qualche cantina con il giusto grado di temperatura e umidità.
Ricordo che quando ho frequentato le superiori, le mie compagne di classe che provenivano da paesi del parmense mi prendevano in giro perché non sapevo cosa fossero i ciccioli e quando mi raccontavano come venivano fatti inorridivo.
Alle elementari, avevamo un appuntamento fisso, una volta alla settimana: bere il latte in refettorio. Circolava lo slogan: bevete più latte, il latte fa bene.
Gli slogan, si sa, ti entrano in testa e non li dimentichi mai. Come quello del gas: il metano ti dà una mano ... e adesso il metano è diventato, improvvisamente, il nemico numero uno ... ma questo è un altro discorso ... o forse no.
Ebbene, il latte, dicevamo: sembrava una buona cosa bere latte, in fondo noi eravamo bambini nati in un periodo post bellico, tutti un po' gracilini ... ma di stalle non c'erano poi tante, c'era la centrale del latte, in città, che riforniva tutti i lattai che venivano a consegnare, nel vetro a rendere, le bottiglie di latte e lo yogurt, pure quello in vasetti di vetro a rendere.
Le nostre mamme facevano la pasta in casa, le torte in casa, a volte anche il pane. Ancora non c'erano i frigoriferi e tutto si acquistava tutti i giorni, a volte conservando il latte ed il burro nelle ghiacciaie con i pezzi di ghiaccio che si acquistavano dalla fabbrica del ghiaccio in grossi pezzi che venivano poi, in casa, spezzettati per l'uso.
Non si trovavano, quindi, in giro per la città né bottiglie di plastica, né tanto meno lattine, né incarti di merendine. E gli spazzini venivano a vuotare i bidoni (uno per casa) di alluminio che avevano ben pochi rifiuti all'interno e mentre vuotavano i bidoni spazzavano le strade soprattutto dalle foglie per liberare i tombini.
Sì, era tutto un altro mondo.
Poi sono scomparsi i lattai; sono scomparsi i pollivendoli; sono scomparse le centrali del latte (e sono scomparsi pure gli spazzini, oggi chiamati operatori ecologici).
E sono scomparsi i piccoli negozi, per far posto a grandi super ed iper mercati, sempre riforniti di tutto, di tanto.
E forse è per questo che, in questo lasso di tempo, sono cambiate così radicalmente le cose.
E' vero che i salumi, il prosciutto, erano cosa da signori, non tutti potevano permetterselo. Io che sono cresciuta in una famiglia numerosa posso testimoniare che il prosciutto crudo di Parma in casa nostra entrava solo quando c'era qualcuno di malato che aveva, così, il privilegio di mangiarlo. D'altra parte pure le banane non erano così di grande utilizzo.
Oggi tutti possono acquistare sia il prosciutto che le banane, in qualsiasi stagione.
La carne, in genere, non era una cosa che si mangiava tutti i giorni. Fino a che i miei nonni sono vissuti ed hanno avuto le loro galline ed il loro orto, il pollo qualche volta c'era. Ma mio nonno è morto nel 1957, quindi dopo i miei genitori dovevano acquistarlo dal pollivendolo ed era una cosa che si cucinava non tutti i giorni.
Oggi, se vuoi, puoi cucinare il pollo arrosto tutti i giorni e lo trovi sempre, in tutti i super mercati.
Vicino a casa mia c'era una macelleria, nel senso che era un mattatoio. Ricordo quando andavo, qualche volta, con mia madre nel negozio attiguo e l'odore acre del sangue non mi è mai piaciuto come non mi è mai piaciuta la carne che ho sempre sputato. Ma mia madre, quando c'era uno di noi che mangiava meno o era più gracile, qualcosa andava ad acquistare. E nel periodo del macello acquistava il sangue per fare il sanguinaccio, con cioccolato in polvere, pane sbriciolato ed altro, pur di farci mangiare proteine "nobili" (se vogliamo chiamarle così).
Ma era una cosa che, a mio ricordo, accadeva raramente ... il macello, voglio dire.
Oggi vengono macellate centinaia, migliaia di mucche e di maiali, tutti i giorni, continuamente e li trovi, a pezzi, in ogni momento in ogni super mercato e tutti possono acquistarli.
In giro per la campagna vedevi più campi coltivati che non stalle.
Ripeto, non so come sia successo che si sia fatta la scelta di avere più allevamenti piuttosto che campi coltivati.
Oggi, molti campi sono coltivati a foraggio per mucche e maiali. Anche abitando in campagna, non si vedono molti campi coltivati ad uso umano.
Ecco, mi chiedo: sarà possibile procedere in senso inverso?
Riusciremo mai a tornare ad una vita più semplice, più lenta, più rispettosa degli animali e dell'ambiente? O dovremo, ormai sottostare alle lobby della grande distribuzione e dei grandi allevatori?
Ritornando all'agricoltura (non intensiva poiché fa esattamente gli stessi danni degli allevamenti intensivi) potremmo ritornare ad una alimentazione più equilibrata, più rispettosa dell'ambiente, meno inquinante, più giusta e, forse, meno costosa; potrebbero tornare i piccoli negozi ed i mercati rionali con prodotti a chilometro zero, potremmo riavere popolazioni di impollinatori sani e potremmo ritornare ad avere una biodiversità naturale.
Noi boomers che negli anni '70 eravamo stenterelli e magri ed oggi siamo obesi e flaccidi dovremmo farci tante domande e, forse, dovremmo iniziare a sentire il peso della responsabilità verso questo mondo che abbiamo creato, senza rendercene conto.